18 Regali al cinema Ettore Scola, la recensione di Maurizio Bonanni

Che cosa accadrebbe nello spazio-tempo se lasciassimo sovrapporre due linee dell’universo destinate a non incontrarsi mai?

Regia di Francesco Amato, con: Benedetta Porcaroli, Vittoria Puccini, Edoardo Leo, Sara Lazzaro, Marco Messeri, Betti Pedrazzi.

Conoscete le NDE (Near Dead Experiences, o esperienze pre-morte)? Esistono innumerevoli esempi tratti dalla letteratura scientifica di persone, successivamente risvegliatesi da un coma profondo giudicato irreversibile, che riportano esperienze extracorporee come quella di un gravissimo infartuato che ha descritto al risveglio la sua visione dall’alto della sala di rianimazione (chi scrive ha avuto un’esperienza affascinante di questo tipo!), dei medici e dei parasanitari presenti al momento e delle attività medicali da loro svolte (cfr. Pim Van Lommel “Near-Death Experience, Consciousness, And The Brain”). Soprattutto, in questo caso il resuscitato ricordava con assoluta precisione dove il medico avesse momentaneamente riposto la sua.. dentiera mentre era in coma! Il film “18 Regali” di Francesco Amato, che è anche co- autore dell’interessantissima sceneggiatura assieme a Massimo Gaudioso,Davide Lantieri eAlessio Vicenzotto (marito vero di Elisa), fa ricorso a ingredienti assolutamente originali nel proporre un mix tra “Ritorno al futuro” e “Il Paradiso può attendere”, raccontando il rapporto immaginario tra una madre scomparsa prematuramente e quella sua figlia che non ha potuto veder crescere. Del resto, la realtà delle storie vere va sempre oltre i romanzi di fantasia, come la vicenda di Elisa Girotto, che sapendo di dover morire per un male incurabile e implacabile, decise di acquistare anticipatamente per la sua piccola Anna un regalo per ogni compleanno che sua figlia avrebbe festeggiato senza di lei fino al diciottesimo anno d’età. Inutile dire come già questo solo fatto provochi un’emozione molto intensa pari a quella che ho vissuto in prima persona, come orfano di madre dalla nascita.

Il film è praticamente il racconto fantastico di un tunnel spazio-temporale tra due coma profondi: il primo, in ordine di tempo, della madre Elisa che muore dando alla luce la sua bambina, Anna; il secondo di sua figlia investita da un’auto, mentre attraversa quello stesso tunnel anonimo e fisico di una strada extraurbana qualunque che funge da toro dello spazio tempo, in cui tutto sembra fluidificarsi e richiudersi in senso circolare. In questo meraviglioso, fantasmatico viaggio indietro nel tempo, in cui ciascuno dei personaggi rimane nella sua età giovane, come Anna, Elisa e il padre Alessio, madre e figlia si incontrano da sconosciute, parlano, si confrontano, litigano e si amano lentamente, progressivamente e profondamente, senza che mai Elisa sappia nascosti e vulnerabili del carattere materno. Ed è Anna dotata di una personalità fuori dal comune a scuotere come un vento di autunno le foglie ingiallite di una giovane donna incinta di lei, alla quale è stata rivelata la tremenda verità sul suo male. E sono proprio le menzogne, cioè l’arte di Ulisse, a dissimulare l’attenzione spasmodica e il bisogno assoluto affettivo di Anna che, paradossalmente, accompagna sua madre a scegliere quei famosi “18 regali” di cui, fin dalla preadolescenza, avendo capito che Elisa non sarebbe più tornata per darglieli di persona, si era categoricamente rifiutata di riceverli ferendo profondamente il padre Alessio, rassegnato a questa comprensibile reazione di sua figlia. Camminando lungo quel tunnel relativistico, tra sogno e incubo, Anna riesce più volte a cambiare la scelta di sua madre, facendole fare per di più esperienze sensoriali originali: l’acqua della piscina; il pernottamento fuori casa; l’hot-dog acquistato nel baracchino mobile parcheggiato sul belvedere e consumato a cavalcioni del muretto panoramico che guarda la valle sottostante di notte. Così Anna rivive tutte le esperienze di Elisa a poca distanza dalla sua morte, come il bellissimo matrimonio con il marito Alessio con accanto gli amici di una vita e gli amatissimi suoceri. A latere, vi è poi un serissimo discorso sulla malattia del secolo, attraverso l’animazione di un gruppo psicologico di contatto tra donne in trattamento oncologico che, oltre a raccontare le proprie esperienze, sviluppano tra di loro intensi e commoventi rapporti interpersonali che verranno poi traslati, da parte delle sopravvissute, al tessuto familiare di chi invece non ce l’ha fatta. E, infine, le ultime lettere, vere, devastanti, commoventi scritte da una madre morente a sua figlia.

Per il regista Francesco Amato il segreto del film sta nella scrittura dei testi che rappresenta la chiave di accesso giusta per una più completa fruizione del dramma. Tra coloro che lo hanno sceneggiato c’è chi avendo appresa la storia dalla televisione ha preferito rimuoverla, per non soffrirne troppo. Tuttavia, quando il marito di Elisa, Alessio Vincenzotto (presente in conferenza stampa) ha aperto loro la porta a un mese dalla morte di sua moglie, gli sceneggiatori hanno potuto leggere con grande attenzione quelle sue ultime lettere di grande potenza emotiva scritte alla figlia per un dialogo postumo, e che contengono un profondo messaggio di speranza. Amato e i suoi co-autori hanno modificato un po’ la storia per costruire un melodramma attorno a questa vicenda vera, mantenendo però inalterata la testimonianza di Elisa. Così, si è scelto di costruire un incontro lirico/psicanalitico con senso di responsabilità nei confronti di Alessio, Elisa e della loro famiglia, facendo un film sulla vita piuttosto che sulla scomparsa di una persona amatissima. Vittoria Puccini nel ruolo di Elisa si è immedesimata in quell’universo analiticamente complesso di una madre che deve scegliere i regali da far arrivare postumi a distanza di un anno l’uno dall’altro (immaginandosi, quindi, nel realtà quali sarebbero stati il carattere e soprattutto i gusti di una figlia che cresce con l’età), e ha raccolto la positività di quel gesto così originale da parte di una donna semplice e per nulla artefatta.

Certo, Elisa come tutte le persone in quella condizione drammatica, si sarà chiesta mille volte “Perché sta capitando a me?” e come reazione a questa domanda senza risposta aveva scelto di lasciare ad Anna, sua figlia, un’eredità molto pratica come avrebbe fatto una mamma qualunque nel quotidiano vivere che fosse stata dotata di una personalità tendente un po’ al controllo della sua esistenza e di quella degli altri.

Così, la protagonista del film si lascerà molto andare per sorprendersi della vita con una figlia che sarà altro da sé! Il film rispetta la semplicità della storia che ci parla di una famiglia e di una vita normale e routinaria, con Elisa che intende colorare con il concetto di tangibilità questa sua eredità concreta e differita nel tempo. Nella realtà, ad esempio, Alessio mentre cambia disposizione alla mobilia trova un messaggio ad hoc di Elisa: “se stai spostando questo mobile [per la preparazione dell’albero e del presepe], allora vuol dire che è Natale”. Cose che parlano di lei quando la freccia del tempo si sposta in avanti e si scartano i regali, per cui quel procedimento cadenzato diviene una sorta di particolarissimo inno alla vita. Per il cast, questo processo di metabolizzazione degli eventi ipotizzati è stato ricco di conflitti, senza mai tuttavia che qualcuno osasse giudicare dall’esterno la vita di Elisa in cui si alternano vittorie e sconfitte.

“Abbiamo aggiunto tante cose”, evidenzia Amato, “ma tutte orientate sul leitmotiv: «Vivi, figlia mia, la tua vita fino in fondo!». In definitiva il film è una storia di tre coppie e tutti gli attori si sono commossi nel recitare la propria parte, aggiungendo ciascuno qualcosa di se stesso. Nel metodo, si prendeva il testo da noi proposto e lo si leggeva tutti assieme: ci sedevamo e facevamo.. brainstorming. Nella scelta dei luoghi, poi, ho voluto intenzionalmente sottrarre identità agli stessi in modo da dare la giusta forza al carattere universale di quella storia. Anche le mie esperienze personali e famigliari sono entrate in gioco. Tuttavia, la mia intenzione è sempre stata

quella di non voler fare un film d’autore ma di rendere spendibile per il grande

pubblico quell’esperienza catartica, resa attraverso una sceneggiatura solidissima per cui ci si è attenuti rigidamente al copione. Oggi, però, le cose si fanno sempre più difficili perché le troupe girano in un regime di lavoro senza straordinari, obbligando quindi la regia a eliminare quanto più possibile pause e tempi vuoti. L’obiettivo del melodramma era quello di esporre le emozioni senza sottrarle, in modo da evitare di rendere contestualmente il film ricattatorio o enfatico”.

Vittoria Puccini testimonia come la regia di Amato l’abbia spinta in modo esasperante ad andare oltre i suoi propri limiti. “Mi diceva: «c’è ancora margine di miglioramento» per questa determinata interpretazione”. Aggiunge Amato: “la sceneggiatura non ha un calcolo deliberato al suo interno ma prende atto solo delle necessità cui dare risposta, come quando si leggono le lettere di Elisa e ci si pone un problema di coscienza nella loro trasposizione del suo vissuto reale sulla scena del set. Ho percepito il film come una commedia e ci siamo divertiti parecchio facendo ricorso sistematico al metodo dell’ironia nella comunicazione e nei rapporti tra di noi. Occorreva far emergere dal conflitto madre figlia le loro rispettive visioni del mondo, per cui Anna scioglie Elisa e viceversa!”. Anche per la Puccini recitare la parte della madre l’ha obbligata a “riflettere sulla necessità di rispettare la personalità dei figli. Immancabilmente, si giudicano i genitori e ci si porta dietro sempre cose non risolte!”. L’ispirazione del film è venuta leggendo le esperienze extrasensoriali dei nipoti che sono stati in grado di conoscere eventi luttuosi e a tutti ignoti della Shoah riguardanti parenti e genitori che loro non avevano mai conosciuto!

Per Alessio Vincenzotto l’incontro con il regista è stato di fondamentale importanza tanto che, confessa: “Sembravamo proprio noi”. Precisa poi Amato: “la strada che abbiamo deciso di percorrere esiste già nella storia del cinema con il titolo: «Peggy Sue s’è sposata!» [di Frank Coppola, girato nel 1985 dopo la morte di suofiglio].

Nello sviluppo centrale la chiave onirica si ricompone nella verità fattuale dei due personaggi. Ma anche Carla, l’amica anglofona di Elisa e come lei malata oncologica, svolge una sua precisa funzione narrativa nel film, in qualità di donna malata molto giovane che, interagendo simpaticamente con il gruppo di sostegno, ci fa vedere come altre donne in quelle condizioni vedano il proprio futuro. Perché veramente esistono persone cosi”. Gli stessi suoceri di Alessio svolgono una funzione importante, con la nonna di Anna non invasiva ma sempre parecchio brontolona, mentre il nonno, un simpaticissimo e altrettanto bravo Marco Messeri, ci dice che “nel film abbiamo portato una vitalità un po’ sgangherata. Potevo lasciarci le penne per l’emozione e sono entrato felice in questo miracolo! La litigiosità? È soltanto colpa della nonna. Anche se, debbo dire, ricorrendo a un detto delle mie parti: «Triste è quella cascina dove tace il gallo e canta solo la gallina»!”. E Amato ammette: “ci siamo decisamente allontanati dal copione per valorizzare il ruolo dei nonni. Infatti, la scena del matrimonio è stata addirittura pensata la sera prima e così abbiamo infilato nottetempo il copione sotto la porta di Messeri!”.

MAURIZIO BONANNI

Voto: 8

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