Asd Pescasseroli, noi come Zlatan

Malmö è incuneata nella periferica Svezia che per noi è l’avamposto delle terre di ghiaccio, una zolla che talmente è nell’oblio che per noi è come se fosse stata espulsa con la zampa di Lucifero dall’Europa. Eppure c’è fermento, anche nel grande freddo come nelle nostre nevicate. Le passioni non hanno latitudini. Il nostro campionato multirazziale lo dimostra. La lunga gerarchia delle categorie del calcio rafforza la convinzione tenace che si ha voglia di giocare e vincere dovunque.

 

 

 

Anche in una terra di zizzanie, contaminata da delusioni e prospera di frustrazioni come è Pescasseroli. La nostra gioventù ha riallacciato le scarpe e corre in campo senza fare scommesse: le scommesse le fa chi ha troppa fiducia nella vita. Corre in cerca di niente, ha risposto solo ad una chiamata, ad una convocazione. Tutti dentro e nessuno depennato. Ognuno a dare il proprio contributo, magari sì, con una certa dose di ottimismo. L’importante è percorrere un’altra strada che non sia quella del degrado, quella di macabre grida infernali che abbiamo smesso di sentire e auscultare.  Ogni corpo è un vagone di un treno merci che sbuffa trasportando speranze, la più importante delle quali è il desiderio di esserci alla prossima partita: desiderio a lungo termine.

Non c’è moviola che renda il goal di Ibraimovic diverso da quello di Domenico o di Gerardo. Non lasciatevi mai frustrare dai fotogrammi e guardate anche quelli di Ibraimovic che provoca un rigore. Mentre i nostri giocano non si ode nessuna telecronaca. Nessun giornalista esordisce al microfono raccontando una strabiliante biografia. Ma palleggi da sempre, già da quando non era necessario scegliere tra le passioni e gli obblighi. Zlatan ha cominciato a palleggiare a 5 anni forse per quella necessità geometrica del destino per cui in certi mestieri è necessario che alcuni si mostrino subito prodigi. A 40 anni ha ancora le scarpette ai piedi e alcuni ragazzi del nostro calcio dilettantistico per età quasi fanno il paio con lui. Serie A contro campionato terza categoria, come dire, l’Empireo dei Beati e l’ipocentro di un abisso in cui si sciolgono lacrime di scoramento. Se ci pensi, la matematica dei goal non è così divergente e si passa sempre tra partite in discesa e quelle del raddoppio. È il fiato spezzato che conta, indizio irrefutabile che hai fatto la tua parte e il tuo gioco. Non conta il goal o il destro tecnico: conta che con le scarpette ai piedi e ancorate a terra ti riconosci, puoi affermare: “questo sono io!”. E ti riconoscono anche gli altri e ti proteggono con il loro numero diverso alla schiena, perché in ogni esercito ogni milite è presidio per l’altro.

 

FEDERICA TUDINI

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