Il “Principe (non è) libero” anche a Pescasseroli

Sembra un accostamento intuitivo: essere principe ed essere libero. Equazione da rivedere. Per un principe la libertà viene vissuta con sacrificio. È un sacrificio se vieni dai carruggi di Genova, se la vita ti insegue e l’intelligenza ti perseguita. Se dentro hai lo spirito di un genio, perché il genio è sempre demoniaco.

Di Fabrizio De André si possono apprezzare tante facce. Di De André non ci piace il genio ma il demone. Non il Faber, come lo chiamava Paolo Villaggio, ma il suo essere un po’ un maledetto Zarathustra che ci prospetta ciò che è umano, troppo umano. E riprodurre una storia come la sua richiede non un racconto, ma degli aforismi. È una riproduzione che non ha valore per la tiratura ma per la sua intensità.

Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare la guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare”.

È l’eco del pirata inglese Samuel Bellamy che De André incise sulla copertina di un suo disco. Ed è questo il tenore di “Principe libero”: una sequela di avvertimenti per un resoconto di altro tipo. Perché poggia su una materia ineffabile come è ineffabile la vita di un uomo.

Il 23 gennaio è una data nevralgica, un anello di congiunzione tra 11 gennaio, data della morte, e 18 febbraio, data della nascita del cantautore. Ed è l’unica scadenza per vedere, anzi ammirare, il biopic “Principe libero”. Una biografia che non è un omaggio né un tributo. È un tentativo. Un tentativo di Luca Marinelli (attore protagonista) e Luca Facchini (regista) di misurarsi non con l’uomo ma con la vita dell’uomo. Più complicato perché, come recita il proverbio, bisogna effettivamente camminare nei mocassini dell’altro.

L’aspetto meraviglioso del cinema non è l’effetto di catarsi, come si predica, ma il fatto di renderti compartecipe di questo tentativo. Perché il cinema è essere da un’altra parte, vicino e non dentro qualcun altro. Perciò bello andare a vedere questo biopic nell’unica uscita del 23 gennaio. Bello andare a vederlo in una piccola sala di paese dove guardare è un esercizio di solidarietà.

FEDERICA TUDINI

 

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