Lib(e)ri in scena, intervista a Vito Mancuso

Vito Mancuso, intervenuto in “Lib(e)ri in scena”, riesce a conciliare le due parti sempre in dispetto: ragione e sentimento. E lo fa su un tema fatto di carboni ardenti: Dio. Come per lanciare la sfida dell’ultimo tentativo. D’altra parte è solo in coda alla schiatta dei teologi, filosofi, dottori della fede che hanno provato a guadare questa palude nei secoli. Oggi ci ha messo sul suo binario, sapendo che non è un binario con rotaie parallele. Perciò le sue riflessioni lasciano sempre una scia, il simbolo della direzione perduta, per ogni obiezione e controtendenza. Non c’è proposta di verità, forse neanche invito alla riflessione: è un uomo che spiega il suo sentire. Un meraviglioso invito a cessare con la persecuzione delle domande esistenziali: basta solo sentire. E sentire è un verbo che in sé contiene tanto: puoi metterci dentro udito, sensazione, istinto e tra tutti questi c’è spazio anche per la ragione. Si può cessare il fuoco.

vito mancuso 2Qualche domanda al famigerato teologo.

La ragione mina la fede e ne diventa distruttrice o può servire alla fede?

Può essere entrambe le cose. Dipende da come la si utilizza. La ragione è al servizio della passione. Ma non credo che sia la ragione a determinare il pensiero di un essere umano. Penso che siano invece la passione, il sentimento, le impressioni che la vita suscita e poi sulla base di questo, a seconda dell’impatto che la  vita ha suscitato sul sentimento, ciascuno utilizza la ragione in funzione “ancilla fidei”, cioè in funzione costruttiva per costruire le prove dell’esistenza di Dio, le prove della razionalità del mondo, o se invece la vita lo ha toccato in maniera negativa userà la ragione in maniera distruttiva. C’è tutta la storia del pensiero a riguardo. Sto dicendo quello che ha detto Kant nella Critica della Ragion Pura, laddove la ragione pura è sostanzialmente consegnata alla “anti-nomia”, cioè al conflitto tra due leggi entrambe uguali e la ragione non riuscirà mai da sola a sciogliere questo nodo, a scegliere una delle due vie. Non riuscirà mai nessuno a saperlo in maniera incontrovertibile. C’è un atteggiamento sentimentale.

Ha richiamato l’essenza antropocentrica del pensiero occidentale e del cristianesimo, da cui la tendenza ad umanizzare Dio e a concepirlo secondo il metro dell’uomo. Ma Dio all’inizio non è stato “logos”, ragione?

Dio è parola, è logica. Ma Dio è anche abisso, è vuoto, è caos. Se si analizza il IV Vangelo certo lì Dio è “logos”. Ma se si prendono sul serio molte pagine della scrittura ebraica si vede che Dio, il mistero divino, è al di là della ragione. Lo stesso significato del tetragramma sacro che noi pronunciamo “Javhé” e non si dovrebbe pronunciare, è un verbo, è qualcosa che rimanda al divenire, non è la ragione che guarda e dispone. Ma è la passione. Dio è anche “viscere” come dicono alcune parole ebraiche, è sentimento, è collera, è ira. Non si può dimenticare questo, anche guardando semplicemente il divino si vede che la ragione è solo una delle componenti della vita, ma non l’unica e nemmeno la principale.

La distinzione tra “deus”(il dio del potere, delle istituzioni) e Dio (del sentimento) centrale nel suo libro “Dio e il suo destino” può essere estesa anche agli altri monoteismi?

Io penso di sì, ma devono essere i diversi monoteismi che devono fare questa analisi. Però parlare delle religioni altrui, soprattutto per quanto concerne la teologia specifica di ciascuna è meglio che lo facciano i singoli teologi delle singole religioni. 

“La verità è ciò che favorisce aggregazione”. (Vito Mancuso)

«La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza» (Norberto Bobbio)

FEDERICA TUDINI

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