I mulini ad acqua del fiume Sangro da Pescasseroli a Villetta Barrea

Fra gli opifici risalenti all’epoca preindustriale il mulino ad acqua può essere sicuramente annoverato come uno dei più longevi dato che, fino ad ora, l’esempio più antico di questo tipo di macchina idraulica è stato trovato dagli archeologi nell’area del palazzo di Mitridate, nell’odierna Turchia, la cui costruzione risale ad un periodo che va dal 120 e al 63 a.C. Successivamente sembra che nei territori dell’impero romano i mulini ad acqua si diffusero soprattutto a partire dalla tarda antichità (IV – VI sec. d.C.) in seguito alla crisi del sistema schiavistico.[1]

L’importanza del mulino per l’economia dell’uomo può essere compresa ulteriormente se si ricorda che nelle campagne e nelle montagne italiane tali strutture erano ancora utilizzate almeno fino ai primi anni Sessanta del secolo scorso quando l’agricoltura industriale si affermò rapidamente. Difatti, la lunga attività di questi opifici ad acqua si deve alla funzione fondamentale da essi svolta, ovvero la trasformazione dei cerali in farina attraverso il processo della macinazione.

Al giorno d’oggi, molti dei mulini un tempo esistenti sono caduti in rovina oppure sono del tutto scomparsi. Ciò è avvenuto anche in Alta Val di Sangro e proprio per tale motivo il presente articolo intende, grazie sia a ricerche bibliografiche che alla raccolta delle testimonianze dirette delle generazioni più anziane, rinnovare nella memoria collettiva l’ubicazione dei mulini ad acqua seguendo il corso del fiume Sangro da Pescasseroli fino ad Opi e a Villetta Barrea.

Figura 1 – Ricostruzione di un mulino ad acqua a ruota orizzontale di epoca medievale.

Però, prima di iniziare la disamina dei mulini alto sangrini occorre ricordare come la quasi totalità di questi ultimi, di proprietà feudale, fu costruita con ruote idrauliche orizzontali. Il mulino a ruota orizzontale era costituito da un albero verticale nella cui parte inferiore erano collocate delle pale piatte o a cucchiaio, le quali, grazie ad un salto d’acqua (regolabile manualmente tramite paratie) erano in grado di far roteare l’albero connesso con la macina mobile. La tipologia di mulino a ruota orizzontale era formata da una macchina più semplice rispetto a quella del mulino a ruota verticale, ma aveva lo svantaggio di essere contraddistinta da una maggiore lentezza per via delle piccole dimensioni. Così, i mulini a ruota orizzontale macinavano minori quantità di grano ed il loro uso era esclusivamente locale.

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Figura 2 – Immagine esplicativa del meccanismo di funzionamento di un impianto a ruota orizzontale.

A Pescasseroli, primo centro abitato attraversato dal fiume Sangro, la presenza di mulini ad acqua è attestata in un documento del 1758 nel quale si parla di due mulini situati alle pendici dei Colli Bassi.[2] Ad oggi, molti dei pescasserolesi nati intorno alla metà del secolo scorso si ricordano dell’esistenza di due mulini ad acqua, entrambi appartenenti, un tempo, alla importante famiglia Sipari e ancora funzionanti fino al secondo dopoguerra: il primo è a Mëlinë dë Siparë («il mulino di Sipari»), noto anche come Mulino di San Rocco, mentre il secondo è a Mëlënéllë.[3]

Il Mulino di Sipari è tuttora esistente insieme al relativo sistema a paratie ed è situato in Viale Principe di Napoli, presso la località della Rëfóra, lungo la sponda destra del Sangro. Questo mulino da cereali, costituito da una turbina e da un palmento a due macine orizzontali, venne costruito nel 1885 per volontà di Carmelo Sipari, padre di Erminio Sipari (il principale artefice della nascita del Parco Nazionale d’Abruzzo). A partire dal 2006 il Mulino di Sipari è di proprietà della Fondazione Erminio e Zel Sipari Onlus che lo ha reso visitabile al pubblico.

A Mëlënéllë si trova, invece, all’ingresso Sud di Pescasseroli, nell’area dell’odierno Campeggio dell’Orso, e fino ad oggi non è stato oggetto di alcun progetto di recupero. Si tratta di un mulino da cereali e, per iniziativa di Erminio Sipari, tra il 1909 e il 1910 vi venne installata anche un’officina idroelettrica per l’illuminazione pubblica.[4]

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Figura 3 – Il mulino di San Rocco di Pescasseroli.

Figura 4 – Immagine della sezione e della pianta dell’installazione della turbina ad azione e del palmento a due macine del mulino di San Rocco.

Per quanto riguarda i mulini pescasserolesi in attività intorno alla metà del secolo scorso, oltre al Mëlinë dë Siparë e al Mëlënéllë, si può ricordare anche l’attività del Mëlinë dë glië Picchië[5], situato in via Lungo Sangro. Questo mulino da cereali, installato nel secondo dopoguerra e funzionante fino agli anni Sessanta del XX secolo, era costituito da una turbina elettrica e da un palmento a due macine orizzontali ancora oggi visibili all’interno dei locali del ristorante Il Picchio.

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Figura 5 – Le due macine orizzontali del Mëlinë dë glië Picchië visibili ancora oggi all’interno dei locali del ristorante Il Picchio.

Circa settantacinque anni fa, un ipotetico viaggiatore, messosi in cammino lungo il corso del fiume Sangro al fine di effettuare un censimento dei mulini sorti lungo le sue sponde, una volta giunto nel territorio comunale di Opi, presso la confluenza del torrente Fondillo con il Sangro, si sarebbe imbattuto in ben tre mulini ad acqua pienamente funzionanti. Difatti, già nella Descritione della Terra di Opi del 1711, un anonimo scrittore parlava di mulini e gualchiere in attività.[6] Effettivamente, nelle vicinanze della segheria di Val Fondillo, lungo la sponda sinistra dell’omonimo torrente sono oggi visibili i ruderi del Mëlinë di Bbarónë («il mulino del barone»), caduto in disuso nel secondo dopoguerra. Poco più a valle, a fianco al Centro Visita di Val Fondillo, si può osservare l’edificio che un tempo ospitava un altro mulino, il quale, negli anni successivi all’ultimo conflitto mondiale, forniva l’illuminazione agli stabili adiacenti connessi con l’attività della segheria. Ma, il mulino di Opi più noto è sicuramente il Vecchio Mulino (in opiano i Mëlinë Vécchjë), costruito lungo la sponda destra del Sangro, non lontano dalla confluenza con il torrente Fondillo. Il Vecchio Mulino di Opi, oggi adibito a ristorante, conserva ancora al suo interno due macine, probabilmente parte di un antico sistema a ruota orizzontale. Anche il Vecchio Mulino ospitò un’officina idroelettrica che tra il 1946 e il 1960 assicurò alla comunità opiana l’illuminazione sia delle abitazioni private che degli edifici pubblici.[7] Nel 1997, i tre mulini di Opi furono oggetto di alcune indagini ad opera degli archeologi delle università inglesi di Oxford e Leicester, volte a rilevare con l’ausilio del sistema GIS (geographic information system) eventuali tracce di insediamenti antichi o medievali. Nelle fondamenta del mulino della segheria furono così identificati materiali da costruzione probabilmente di epoca romana.[8] Al riguardo, non bisogna dimenticare che nel 1994, sulle vicine pendici di Monte Amaro, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo scoprì una villa rustica risalente al III-II secolo a.C.

Fotografia di Francesco Boccia

Figura 6 – I ruderi del Mëlinë di Bbarónë a Val Fondillo.

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Figura 7 – La gora del Vecchio Mulino.

Il fiume Sangro, dopo aver ricevuto le acque del torrente Scerto nell’area della Camosciara[9], attraversa l’abitato di Villetta Barrea dove, in località u Cértë (Uncerto sulla mappa dell’Istituto Geografico Militare)[10], le sue acque, attraverso un sistema a paratie, vengono in parte deviate verso uno dei mulini meglio documentati dell’Alto Sangro.

Tale ricchezza documentale si deve soprattutto agli studi archivistici dello storico villettese Uberto D’Andrea, il quale, in Memorie storiche di Villetta Barrea, descrive minuziosamente le vicissitudini del mulino di Villetta Barrea. D’Andrea informa i suoi lettori che u Mulinë, costituito da un palmento a due macine orizzontali, venne citato per la prima volta negli statuti feudali del 1495-1496 in quanto di proprietà baronale. Difatti, la comunità villettese, nel 1701, versava un canone di 15 tomoli di grano alla Camera Baronale per la concessione dell’acqua. Successivamente, da documenti risalenti ai primi anni del XIX secolo, si apprende che, oltre al mulino, era presente anche una gualchiera sul cui utilizzo il Principe di Melissano esigeva il pagamento di un canone di 30 carlini. In seguito alle leggi eversive della feudalità, attuate nel Regno di Napoli tra il 1806 e il 1808, il sistema di riscossione del canone sul mulino da parte della Camera Baronale venne messo sempre più frequentemente in discussione dal Comune di Villetta Barrea. Tant’è vero che nel 1819 le macchine idrauliche villettesi risultavano vendute alla famiglia benestante dei Di Vito di Barrea, alla quale succedette un’altra ricca famiglia barreana, quella dei Di Loreto. Così, verso la metà del XIX secolo le famiglie agiate della zona avevano sostituito gli antichi feudatari nella riscossione del canone annuale del mulino.

Da un attento studio degli archivi comunali si può comprendere come il mulino, fino agli inizi del XX secolo, rappresentasse una fonte di guadagno rilevante sia per pochi facoltosi privati che per il Comune di Villetta Barrea. Ciò è desumibile anche dalla particolare reattività del Comune nel reprimere alcune isolate iniziative finalizzate alla creazione di altri mulini che andavano a minacciare il monopolio comunale dell’attività di macinazione dei cereali.

Inoltre, a Villetta Barrea così come accaduto, seppure in tempi diversi, a Pescasseroli e ad Opi venne realizzata a fianco del mulino un’officina idroelettrica che a partire dal 14 marzo del 1910 fornì l’illuminazione pubblica e privata sia alla popolazione villettese che a quella civitellese.[11]

Ad oggi il mulino di Villetta Barrea non è più funzionante da circa 60 anni, ma nonostante ciò è stato mirabilmente recuperato grazie alla sinergia dell’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise con il Comune di Villetta Barrea che ha reso l’antico opificio parte integrante del Museo dell’Acqua, dal 2011 gestito dall’Archeoclub di Villetta Barrea il quale ne permette la visita da parte del pubblico durante l’intero corso dell’anno.

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Figura 8 – Interno del mulino di Villetta Barrea.

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Figura 9 – Il mulino di Villetta Barrea visto dall’esterno.

Quella dei mulini ad acqua è una storia affascinante. Iniziata almeno 2000 anni fa è giunta fino ai giorni nostri dato che i nati nella metà del secolo scorso sono stati ancora testimoni diretti dell’attività di queste macchine idrauliche, frutto dell’ingegno dell’uomo trasmessosi da una generazione all’altra attraverso i millenni. Pertanto, il presente articolo ha cercato di rinnovare nella memoria collettiva degli abitanti dell’Alto Sangro l’importanza che i mulini ad acqua hanno rivestito fino ad un recente passato.

 

Qualche lettura per saperne di più:

Christie Neil, Lloyd John, Lock Gary et alii, The Sangro Valley Project. The 1997 Season. Interim Report, Papers of the British School at Rome, LXV, Oxford 1997, The Alden Press.

Cimini Nicola Vincenzo, Genesi, Vita e Storia delle Terre dell’Orso. Con uno sguardo alla terra di Opi, Opi 2010.

Cimini Nicola Vincenzo, Opi al tempo dei Don. Catasti preonciario ed onciario, vita economica e storia di trecento anni fa, Opi 2020, Etabeta.

D’Andrea Uberto, Memorie storiche di Villetta Barrea, Casamari 1987, Tipografia Abbazia di Casamari.

Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid.

 

[1] Informazioni reperite da Mulini e archeologia di Gioacchino Lena, Danilo Franco e Fabio Demasi (https://docplayer.it/23861946-Mulini-e-archeologia-gioacchino-lena-e-danilo-franco-fabio-demasi.html).

[2] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, p. 68.

[3] Si ringrazia Mario Grassi per queste informazioni.

[4] Tarquinio Gianluca, Aspetti economici, sociali, religiosi e demografici di Pescasseroli (secc. XII-XX), Roma 1995, Litorapid, pp. 145-146.

[5] Glië Picchië è il soprannome della famiglia dei proprietari.

[6] Cimini Nicola Vincenzo, Opi al tempo dei Don. Catasti preonciario ed onciario, vita economica e storia di trecento anni fa, Opi 2020, Etabeta, pp.6, 15-16.

[7] Cimini Nicola Vincenzo, Genesi, Vita e Storia delle Terre dell’Orso. Con uno sguardo alla terra di Opi, Opi 2010, s.e., p.180.

[8] Christie Neil, Lloyd John, Lock Gary et alii, The Sangro Valley Project. The 1997 Season. Interim Report, Papers of the British School at Rome, LXV, Oxford 1997, The Alden Press. p. 36.

[9] Per quanto riguarda il torrente Scerto, le sue acque, con molta probabilità, alimentavano in epoca medievale delle macchine idrauliche afferenti all’insediamento di Rocca Intramonti. L’antica presenza di mulini in questa area è testimoniata anche dal toponimo Pian del Molino (la Chiana du Mulìnë in civitellese).

[10] (http://www.pescasseroliew.it/pillole-di-toponomastica-nomi-dacqua-in-alta-val-di-sangro/).

[11] D’Andrea Uberto, Memorie storiche di Villetta Barrea, Casamari 1987, Tipografia Abbazia di Casamari, pp. 26-27, 121-146.

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