Intervista ad Ettore Scola realizzata a Pescasseroli da Maria Pia Fusco

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Vogliamo ricordare il grande maestro Ettore Scola,amico di queste montagne,con un’intervista che Maria Pia Fusco realizzò a Pescasseroli nel 2011 durante la seconda edizione del “Premio Age”

“Ho avuto tanto, basta col cinema”

Incontro col grande regista che presiede la giuria del premio Age. “Non chiudo la carriera in bruttezza. A 80 anni non voglio l’umiliazione delle attese. Il mio orgoglio è la collaborazione alla lettera di Totò e Peppino. Non dimenticherò che rideva quando leggeva”

di Maria Pia Fusco
PESCASSEROLI (L’Aquila) – «Splendido ottantenne? No, direi ottantenne provato, sono pieno di acciacchi, vivo in condizioni assurde, ho un fisico come Muhammad Ali, non ho mai fatto sport, non cammino, cammino male, fumo e adesso la pago». Ettore Scola, ottant’anni compiuti il 10 maggio, non rinuncia all’ironia. Sarà pure provato ma tra omaggi e riconoscimenti, è sempre in giro, prima alla Milanesiana, due giorni fa al premio Amidei a Gorizia, domani sera a Pescasseroli riceverà il premio Amidei, con Stefania Sandrelli, Paola Cortellesi, Emilio Solfrizzi. «Non sarei dell’umore, né fisicamente né psicologicamente, ma il premio Amidei l’ho fondato io 30 anni fa, dovevo andare. E non vado da Age? Sono l’unico superstite di quel gruppo lì».
In giro per l’Italia sì, ma sono quasi 10 anni che non fa un film. Quante volte le hanno chiesto perché?
«Ogni volta che mi intervistano. La risposta è sempre la stessa. Sono grato a Berlusconi che mi ha fatto prendere questa decisione. Dovevo fare un film con Depardieu, c’era già il contratto. Con Medusa. In uno di quei suoi deliranti interventi in parlamento Berlusconi per dimostrare il suo “liberalismo” o “libertalismo” — con certe parole va a tentoni — disse che stava producendo un film del comunista Scola. Io scrissi alla Medusa che non avevo mai avuto mecenati, non ne volevo e che non avrei fatto il film. Anzi, quelli della Medusa furono gentili, risposero che se non mi trovavo a mio agio, capivano benissimo, magari ci sarebbe stata una collaborazione futura. Avrebbero potuto farmi causa».
Che film era?
«Il titolo era Un drago a forma di nuvola. La storia di un libraio che aveva un piccolo segreto, nell’appartamento sopra la libreria aveva una figlia disabile, s’innamorava di una cliente, doveva essere Audrey Tatou, ma sapeva che sarebbe stato un amore impossibile e lei lo aiutava andando via con un ragazzo più giovane. Una storia un po’ crepuscolare».
Non ha voglia di scrivere altre storie?
«No. Leggo molto, leggo Cicerone, i classici, e mi avvilisco perché non avrò il tempo di leggere tutto quello che vorrei. So che alcuni della mia età lavorano. Ma quando parlo con Lizzani o Montaldo e dicono che aspettano la telefonata della Rai o di Medusa per chiudere il film, la mia decisione si rafforza. Loro fanno benissimo, non li critico, ma io, a 80 anni, voglio scansare l’umiliazione delle attese. Ho la mia pensione di 1.400 euro al mese. C’è anche un po’ di superbia, perché è dimostrato che gli ultimi film di autori grandi sono stronzate, basta l’esempio di Chaplin o di De Sica. Non voglio finire la carriera in bruttezza».
Una giornata particolare, C’eravamo tanto amati, La famiglia… Titoli indimenticabili. Non ha rimpianti?
«Il periodo che rimpiango è un altro, quello della negritudine con Metz e Marchesi, due maestri, scrivevano dieci sceneggiature in contemporanea. Mi davano dieci paginette di soggetto, io scrivevo battute o situazioni comiche e se andavano bene le sistemavano in uno dei film di Totò. Ricordo ancora la prima battuta che ho scritto. Per Totò Tarzan. Lui incontrava Jane, Tamara Lees. Totò diceva: “Io Tarzan, tu bona”».
Lo dice per snobismo?
«Sono sincero. Il mio orgoglio è la collaborazione alla lettera di Totò e Peppino. Non dimenticherò Totò che rideva quando leggeva le battute. La risata di Totò è qualcosa di prezioso. Che bel mestiere facevo, scrivevo, Metz sceglieva e non avevo responsabilità. Peccato, in Italia non si fanno più le parodie».
Come immagina un dialogo tra Berlusconi e Bossi?
«Secondo me è tutto un gioco delle parti. Tu dici questo, io rispondo quello, poi tu fai un passo indietro, io sbatto il pugno sul tavolo, tu fingi di arrabbiarti. Guitti che recitano male».
Nel nostro cinema è stato un anno di commedie…
«La commedia fa parte della cultura italiana, Alfieri a parte, non siamo un popolo di tragici. La commedia all’italiana però è diventata una coperta per tante cose. La differenza è che noi le scrivevamo per aiutarci a capire in che mondo vivevamo, la realtà era sempre presente. Oggi non è così, ma noi volevamo bene all’Italia.
Oggi perché si dovrebbe amare questo paese?
Capisco che molti se ne vadano all’estero a cercare un successo anche se non tutti lo trovano. Non abbiamo più il senso dell’appartenenza che avevamo noi».
Si è risvegliato con le celebrazioni dell’Unità…
«Grazie Napolitano! È assurdo, siamo legati a un signore di 86 anni, che Dio ce lo conservi a lungo».
Un tempo si diceva “non vorrei morire democristiano”. Ora?
«Non credo che moriremo berlusconiani, anche se dovremo aspettare la generazione dei quindicenni per tornare a essere un paese rispettabile. Però penso che vedremo altri momenti in cui non ci saranno più Cicchitto e Capezzone».

 

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(23-07-2011)

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