Le migrazioni come opportunità:uno Sprar anche a Pescasseroli?

Passato il Burian elettorale che ha premiato quelle forze che più hanno insistito, anche se con qualche differenza, sulla immigrazione come minaccia alla sicurezza e in qualche caso accusando i migranti di essere i responsabili di tutti mali dell’Italia Gibril, Mohammed, Sulayman e decine di migliaia di migranti   avranno un po’ di tempo per capire se la loro situazione possa peggiorare o addirittura migliorare anche se non è difficile supporre che rimarrà uguale.

La maggioranza di essi è “ospite “di un CAS, Centro di accoglienza straordinaria, un’evoluzione semantica dei più famosi CPT in voga una decina di anni fa, prima della emergenza scoppiata negli ultimissimi anni.

Sono centri, gestiti da cooperative o società che hanno rapporti solo con le Prefetture e nemmeno i Sindaci possono controllare cosa succede o come vengono gestiti. Ogni tanto ne viene chiuso qualcuno, l’ultimo a Roccaraso meno di un mese fa, di solito per le condizioni igieniche o per la scarsa alimentazione, sovraffollamento o mancanza di altri servizi.

Rispondono a bandi della Prefettura che partono dai 35 euro per migrante, con ribassi di pochi euro. che non vanno ai migranti, come invece qualcuno ha urlato per anni, ma a chi gestisce.

Nei CAS ci sono tutti migranti richiedenti asilo che una volta superato l’iter giudiziario, con relativo ricorso devono lasciare il CAS sia che ottengano lo status di rifugiato per cinque anni o il permesso umanitario di due anni, sia che la richiesta venga respinta.

Per quelli che hanno ottenuto i documenti si possono aprire le porte di uno centro che aderisce ad un progetto SPRAR, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Ma solo per pochi perché gli Sprar sono pochi e quindi insufficienti. Per quelli che non trovano posto in uno Sprar e per quelli i cui ricorsi sono respinti si apre la strada della clandestinità con tutte le relative conseguenze per la sicurezza, di cui sopra.

Perché sono pochi gli Sprar?

Sono pochi perché meno di 1000 comuni su ottomila hanno aderito, nonostante tutti i vantaggi.

Un centro SPRAR può essere aperto solo da una adesione degli Enti Locali (Comune o Provincia) che potrebbero gestirlo direttamente. Poiché il personale dei Comuni spesso non ha competenze o tempo, l’amministrazione può affidare la gestione del progetto a soggetti terzi (cooperative, società, associazioni ecc.), che abbiano esperienza e competenza nello sviluppo di progetti di integrazione.

Ad Aquila e Pizzoli per esempio sono gestiti dall’ARCI.

Le differenze tra un CAS e un centro SPRAR sono tante e tutte a vantaggio di quest’ultimo.

Prima di tutto gli Sprar sono centri più piccoli (fino a quindici persone) e va rendicontata ogni singola spesa con una gestione delle risorse molto trasparente.

Ci sono ricadute sul territorio sia economiche che sociali e culturali, con possibilità occupazionali per giovani laureati (psicologi, assistenti sociali, mediatori linguistico- culturali, professori e maestri) e non, lavoratori per la cucina, pulizia, altri servizi, artigiani coinvolti in corsi di formazione etc., l’acquisto in negozi locali dei beni alimentari e di altro genere necessari al Centro.

Inoltre il Comune ha dei finanziamenti diretti per ogni migrante incluso nel progetto oltre a poter ottenere deroghe al patto di stabilità che non consente assunzioni e a stabilire rapporti più diretti con le prefetture.

Inoltre una Clausola di salvaguardia permette ai Sindaci che aderiscono alla rete Sprar di impedire l’apertura di altri Cas.

Noi riteniamo che l’immigrazione possa essere una risorsa se affrontata i giusti obiettivi, come dimostrato anche dalle esperienze degli ospiti del convegno “Riflessioni migranti”, tenutosi a Pescasseroli il dicembre scorso.

Affinché l’immigrazione possa essere veramente una risorsa, le amministrazioni democratiche e non razziste devono raccogliere la sfida e partecipare alla rete SPRAR

Francesco Paglia

Mama Africa-Terra di domani

 

 

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