A Pescasseroli il film documentario “Percepire l’invisibile” a firma di Tino Franco

La bellezza degli invisibili è che anche quando si radunano e si ammanicano non diventano mai branco. Sono belli perché sanno battere le mani di gioia, anzi le battono come fanno gli elefanti con le zampe. Magari hanno la spina dorsale curva, come gli elefanti maschi, oberati dal carico dei pregiudizi perché altrove non ci sono orecchie per il dolore. Nel disagio tutto può essere molto bello, ma anche molto brutto. Il cinema è entrambe le cose e per questo è un’esperienza che non si può mancare. “Chiudere”, nell’epilessia del 2021, è stata la parola d’ordine durante la pandemia e da quando è stata proferita e irradiata i nostri gesti hanno preso a copiarsi.

Per gli utenti del dipartimento di salute mentale la saracinesca abbassata del cinematografo è una scure su un racimolo di benessere. Era il momento per loro di godersi il momento del brillio che per una lucciola è intermittente. Hanno cercato una sponda in quell’invisibile produttivo che è la creatività. Creare per un gruppo che si sente condannato all’afonia e a vivere defilato assomiglia al gioco di proboscidi tra gli elefanti. Ne viene fuori un copione, un seme: Mbegu si dice in swahili. Un copione che è il distillato di apprensioni, desideri come quello di un lavoro che potrebbe rimpolpare il fantasma di chi il disturbo mentale ha fatto eclissare. È stata un’impresa cinematografica per non artisti, fruibile da chi si sente i sassi nelle scarpe come chi sta dietro la cinepresa per la prima volta. Perché è questo il nocciolo del sentirsi invisibili: avere una fregola.

 

FEDERICA TUDINI

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