BARREA LA LEGGENDA E LA PREMIER DELL’ALTO SANGRO

  
La partita di oggi la racconta un ragazzo di Barrea che al secondo goal, quello del verdetto definitivo, piange, come il giovane tifoso all’Olimpico che in lacrime fotografa Totti.
Il Bugnara già nelle previsioni era l’incognita, l’ostacolo più duro. E la paura dei punti interrogativi è stata forte e logorante. Questa battuta doveva preparare il finale magico di una stagione favolosa. Nel match point dei bilanci, quando ormai valgono ormai solo le briciole aritmetiche, per contare se avanzano più “se” o più “quando”, nel momento in cui si ascoltano solo i presagi. Ma Barrea dà i numeri anche oggi, pure nella tana del lupo. In campo ognuno ha promesso sostegno all’altro.  

 Ognuno ha tentato di fare un capolavoro di lotta con la giusta tensione fisica, perché sognare in campo non è più il primo comandamento. Anche se l’orgoglio agonistico spesso sfuggiva al controllo e alla fine è diventato benzina per non rischiare il vuoto di energia. Di fronte ad un avversario affamato che voleva distruggere le sue speranze, ha accettato la scelta obbligata: emulare se stessa. E alla fine non ha vinto per caso, come non si poteva nel campo della capolista. L’estetica pure ha avuto i suoi onori. Una partita che non ha lasciato mai spazio a sbadigli. Pochi giri d’orologio e Bugnara va in goal. Ma Barrea aveva l’obbligo di non cedere alla disperazione. Prova ad uscire dalla trappola e puntare lo specchio, ma troppe svagatezze nell’approccio. Gli uomini-zeppa appostati sotto porta hanno qualche errore sulla coscienza. Per un buon tempo la manovra d’attacco resta inerziale, costretta alla reazione piuttosto che all’azione. Primo tempo, e Barrea limita i danni grazie al suo portiere, che dopo il primo errore, mette i lucchetti alla porta. Nemmeno più gli spifferi entrano. Para con le unghie le nocche delle mani, è il pendolo della partita. Il Ricci che ci ha abituato al ruolo da regista oggi è senza troppa invenzione, anche se non risparmia le sue prodezze. Pandolfi, Coletti e Di Padova recitano bene da titolari; non chiedono permesso per sparare in porta. Il centro-campo emoziona con Tudini Alessandro che rinuncia alle coreografie per dedicarsi alle mosse di interdizione. La retroguardia non sempre prevenuta sulle transizioni difensive, ribadisce come sempre la sua presenza. Cerca di non mettersi fretta, anche se la voglia di vincere inquina gli animi. Del Principe è l’architetto per dirigere i giusti movimenti. Coletti prova ad esprimersi con i suoi numeri personali e diventare pericoloso, ma spesso gli viene sottratta la terra sotto i piedi nella zona che a volte è Paradiso a volte Inferno, come quando prova a rifinire il passaggio di Di Padova su sponda di Tudini. Musilli perde l’occasione ghiotta della punizione, ma dalla linea del rischia tutto, il guado del campo, fa la sua bella figura. Alla fine gli scalpellini dei passaggi realizzano l’azione goal contro i professionisti dell’area. È Pandolfi ad appaiare il risultato provvisorio. Tenta a doppiare ma scheggia solo le mani del portiere. Fiato sospeso per la punizione al limite dell’area per il peccato di Gentile e Mapelli. Ma la palla muore oltre i pali. Alla fine Bugnara è piegata: Pandolfi si conquista la sfera e avanza davanti al portiere, stucca e stecca. Barrea si è attenuta alla memoria di se stessa, non ha avuto bisogno di commettere torti nonostante la ripresa sia stata spesso danneggiata dall’arbitro. E alla fine la spunta. Nobel alla cultura di gruppo con cui ha costruito la sua storia vincente.

MIA DEDICA

Ormai fate parte del patrimonio del paese e della vallata. Le storie iniziano sempre così, come non sai. Tanto l’inizio è un punto a caso nella fila degli eventi. Per voi c’è però il punto della fine, quello di un “dove“ che non era destino. Perché il sogno rischiava di essere una menzogna ed era un abuso della propria volontà. Ma avete ribaltato la legge: a quella dei più forti avete preferito quella degli umili dell’unione fa la forza, e quella delle tartarughe che impone di andare piano. Nello spirito di un popolo abituato ad una filosofia di vita severa, dove ogni proverbio è una prescrizione negativa o di remissione. Un popolo abituato a ritirarsi in letargo come i suoi orsi, a soffocare ogni spinta imparando dal suo territorio che servono dighe contro ogni impennata emotiva. Avete violato l’istinto di conservazione. Combattere ha avuto la precedenza sul salvarsi. In campo, come un esercito greco dove ci si rivolge ad ogni soldato chiamandolo solo “compagno”, che è la stessa parola per indicare chi si ama. Perché per voi ha contato il gruppo piuttosto che l’eroe. La parola magica è stata “insieme” piuttosto che “ognuno”. E forse nell’archivio comunale non ci sarà la vostra impresa, ma resterete nella memoria, che è il più sicuro dei mezzi di conservazione, perché prima che si consumi si trasmette. #grandiragazzi

Federica Tudini

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